I diritti basilari della famiglia nella loro vera natura

Il 26 maggio scorso è entrato in vigore il c.d. divorzio breve o semplificato, vale a dire quel complesso di disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di comunione tra i coniugi (legge 6.5.2015, n. 55). E stupisce che ciò abbia, finora, suscitato limitate reazioni sul piano del dibattito pubblico, molte delle quali epidermicamente ed entusiasticamente favorevoli, salvo qualche ironico commento sul “cuore breve”; sul fatto, cioè, che, in pochi anni, una persona potrebbe celebrare cinque matrimoni, con corrispondenti festeggiamenti e viaggi di nozze. Tuttavia, questo diviene meno strano, ove si consideri che si è dinanzi ad un ulteriore tassello di una più vasta delegittimazione, di un più esteso svuotamento dell’istituto del matrimonio, che si intenderebbe “solennemente” ampliare a relazioni che matrimoniali non sono e, ad un tempo, ridurre a “fatto” privato, rescindibile facilmente, al pari di altri contratti aventi per oggetto beni e rapporti di origine economica.

Si è dinanzi ad uno spiacevole segnale politico, tanto più pericoloso qualora si tenga conto che l’Istat ha pubblicato un recente Rapporto teso ad evidenziare un progressivo infragilimento della rete familiare e sociale italiana. Una decisione legislativa che si riconnette ad altre destinate a snaturare il contenuto dell’art. 29 della Costituzione, il quale riconosce “i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Occorre domandarsi: quale fondamento può conferire alla famiglia un matrimonio che si può sciogliere dopo pochi mesi? E quali diritti sono riconosciuti ad una comunità così poco stabile da non superare l’anno di vita? Trattasi di interrogativi tanto semplici, quanto dolorosi, che avrebbero dovuto indurre il legislatore a riflettere, a ricordare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, del 1948, secondo cui “la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”.

Preme sottolineare che la principale conseguenza che può derivare dalla legge in questione è quella di produrre un vuoto psicologico e culturale nei giovani, con la caduta di senso dell’impegno matrimoniale; impegno che si mostra effimero, caduco, risolubile in tempi strettissimi e con garanzie giuridiche ed economiche molto contenute. Altre conseguenze si verificheranno in ordine alla salvaguardia dei figli, agli orientamenti della giurisprudenza, che sarà tenuta a concepire e a valutare il segmento di esperienza matrimoniale vissuta alla stregua di un incidente di percorso, che lascerà pochissime tracce nell’esistenza dei soggetti coinvolti. E’ il caso di proclamare con chiarezza che si è dinanzi ad un matrimonio che può essere una brevissima parentesi nella vita di una persona, di cui si può perdere la memoria, per quanto lieve è stato. (Pure la proposta, non approvata per un residuo pudore, di devolvere la competenza in tema di separazione e divorzio all’opera del notaio, non altro effetto avrebbe provocato se non quello di spostare indietro le lancette del progresso, alla tradizione romanistica pre-cristiana, che rimetteva molte cose all’arbitrio individuale). Si è dinanzi – come detto – al tassello di un mosaico più largo col quale si ritiene inscrivere la famiglia, radicata sul matrimonio, in un nebuloso universo di esperienze che la relativizzano, la riducono a variabile indipendente di un insieme di rapporti intercambiabili, la privano dei suoi diritti positivi. E così come un diritto fondamentale e indisputabile attiene alla tutela sociale e giuridica dello status di figlio, di padre, di madre, allo stesso modo un altro elemento cardine del matrimonio è costituito dal diritto dei genitori di educare e di istruire i figli, in conformità con le proprie convinzioni, scegliendo il tipo di scuola alla quale avviarli.

Tali diritti, sostanziati nella tradizione dell’Occidente, vengono attualmente assediati, erosi, negati da innovazioni normative e prassi applicative finalizzate a separare la scuola dalla famiglia, a introdurre forme abnormi di educazione, ad annullare dalla mente dei ragazzi quella centralità dell’istituzione familiare, che leggi, ancora in vigore, promuovono.

Si apprende, dunque, che la famiglia, ut sic, è relativizzata, schernita, emarginata a vantaggio di una pedagogia individualistica, mancante di ogni prospettiva comunitaria. Si può invocare una inversione di tendenza, dal legislatore, dall’apparato scolastico, dagli educatori, affinché la famiglia riguadagni e recuperi il suo ruolo di riferimento unitario entro quell’orizzonte umanistico che ha pervaso di sé le Carte dei Diritti Umani e la Costituzione italiana? Una simile domanda è assai più urgente ed emergente oggi quando si assiste alla guerriglia da parte di organizzazioni estranee ed esterne alla scuola, di scuole di pensiero che teorizzano, apertis verbis, la separazione tra naturalità e socialità, mirano a ledere il principio di genitorialità, diffondono un vuoto morale tra le giovani generazioni e inclinano su questo piano cruciale all’indottrinamento nemico dell’autentico dialogo.

E’ da rilevare che ad una siffatta guerriglia, le famiglie – e le loro organizzazioni – sono obbligate a resistere, registrando vittorie e sconfitte, subendo, di frequente, la neutralità delle istituzioni e di coloro che hanno poteri di indirizzo sulla scuola. Trattasi, però, di una linea di resistenza insufficiente; è diverso chiedere che i diritti sanciti e consacrati al massimo livello legislativo trovino attuazione attraverso indirizzi inequivoci che concernono la scuola, la pubblica amministrazione, le strutture sociali. E nell’ambito della nostra reale esperienza di vita è determinante non rassegnarsi, per abitudine, ad una tendenza volta a nullificare un faticoso percorso storico e giuridico realizzato e perseguito in favore delle nuove generazioni, per rafforzare i legami familiari a presidio della evoluzione, della convivenza e della coesione sociale.