Ai terremotati del Sud – 23 Novembre 1980

All’abbandono amaro, al rifiuto, di secoli, in balia dei potenti, al flusso migratorio dei giovani, per altre terre, in cerca di lavoro, il furore apocalittico, delle forze della natura!

Scarnificati dalle radici, palazzi aviti ed umili case. Senza più volto, città, paesi, villaggi solitari, nella solitudine dei monti. Superata la vetta del dolore, l’anima piange, una cascata di lacrime, su un mare senza fondo.

In montagne immani di macerie, polverizzata l’essenza della vostra vita: figli, madri, spose , campi, case e tutto un mondo di grandi e piccole cose, cui avevate legato con il cuore pagine di vita. Un attimo di morte, ha la durata dell’eternità. Chini sulla polvere dei beni perduti, cominciaste a scavare, scavare con le unghie, fatte chiodi dal dolore, le dita, le mani sanguinanti, sotto la morsa del gelo, con foga, stremati, ma il cuore di leone, con veemenza, ma le mani leggere, più delle ali. Nella gola, il pianto represso dell’angoscia, che non ha parole e i gridi, i singhiozzi dell’anima; varcaste la frontiera del dolore, soffocati da torrenti di polvere e detriti, per cogliere i richiami dei vivi, i gemiti dei corpi agonizzanti. E li traeste fuori dagli antri gelidi di morte, al respiro della luce. Statue scolpite dal dolore, grondanti di lacrime, in veglia tragica sulle morte cose, scandivate nell’anima le sillabe di un nome caro e ne seguivate il volo, alto, sulle ali fluide dell’etere, fino alle porte dell’infinito.

Vi pareva perduto il desiderio di vivere, ma in quel punto del cielo, dove l’anima si era involata, un accenno di luce, si fa più vivo, si espande. Il sole, sulle macerie, su una cresta d’onda, fra i detriti, i resti di una culla, l’eco di un vagito, il canto di una ninna nanna. Dai relitti di un balcone, il miracolo di un grembiulino rosa, ancora fresco di bucato, sventola. Dai lembi protesi due manine trepide, amorose, chiamano.

25.11.2013